La sindrome femoro rotulea denominata anche condropatia rotulea può essere riconosciuta quando compare un dolore localizzato a livello del ginocchio e più precisamente nella sezione della rotula situata nella parte anteriore dell’articolazione.
Il dolore viene percepito normalmente durante lo svolgimento di qualsivoglia attività e tende a incrementarsi quando oltre a eseguire i movimenti abituali si sottopone l’articolazione ad affrontare la discesa delle scale piuttosto che una normale pendenza discendente.
Se manteniamo una posizione prevalentemente sedentaria dovuta ad esempio all’occupazione professionale svolta possiamo rischiare di acuire la sensazione percettiva dolorosa a carico dell’arto interessato dalla patologia.
Il segmento rotuleo, che compone la parte anteriore del ginocchio favorendone e rafforzandone i movimenti di flesso-estensione e garantendone la stabilizzazione attiva, si articola con il femore e esegue uno scorrimento all’interno di una specie di solco durante i movimenti dell’arto inferiore; questi movimenti di scorrimento, generati dai movimenti che interessano l’arto, vanno a produrre complessi e svariati contatti in diverse zone nelle quali la rotula stessa e i condili femorali risultano interessati essendo parte integrante dell’articolazione.
Il susseguirsi di questi continui contatti fisiologici porta ad un generarsi di scorretti allineamenti della rotula stessa che realizzano le cause che concretizzano la sindrome rotulea in grado di portare ad una comparsa conseguente di sintomi dolorosi che non devono comunque essere interpretati erroneamente con la dolorosità conseguente ad una tendinopatia rotulea che presenta cause differenti e richiede ovviamente un altro tipo di terapia.
Quando si affronta una patologia femoro rotulea dobbiamo cercare di capire se le origini scatenanti derivano da condizioni muscolari, da fattori biochimici o più semplicemente da sovraccarichi funzionali ai quali abbiamo interessato l’arto.
Generalmente, i fattori scatenanti di questa patologia sono derivanti da una serie di situazioni complementari che nell’insieme generano questa infiammazione per la soluzione della quale va eseguita una corretta e approfondita valutazione funzionale al fine di arrivare a procedere con una adeguata serie di programmi terapeutici a misura del caso in esame.
La flessione del ginocchio comporta, come atto fisiologico, un incremento di pressione tra i capi articolari di rotula e ginocchio, tra i vari punti di contatto tra essi esistenti ed il femore indicando di conseguenza l’esclusione di tutte le attività che richiedono ripetuti piegamenti e impatti soprattutto se questi vengono svolti in salita o peggio ancora in discesa dove le tensioni sono incrementate dalle angolazioni derivanti dalle pendenze generate o anche nelle attività di salto che possono risultare fattori generanti della patologia in esame.
Se prendiamo in esame la lunghezza del muscolo e la tonicità dello stesso possiamo capire quanto questi fattori possano condizionare il carico e di conseguenza aumentare il dolore rendendo più concreto il danno che si porta alla cartilagine dell’articolazione, soprattutto tenendo conto del grado di allenamento e dallo stato generale di salute psicofisica del soggetto laddove risulta preponderante l’allineamento dell’apparato estensore inferiore.
Le conclusioni che possiamo trarre dovrebbero aiutarci a comprendere che, se prendiamo in considerazione tutti questi fattori, questa patologia risulti decisamente più presente nei soggetti che svolgono attività prevalentemente sedentarie.
Malgrado gli studi effettuati in questo settore, non si è ancora trovata una causa biomeccanica che possa in qualche modo dare origine a questo tipo di patologia, nonostante si sia potuto realizzare che sussistono differenti fattori di rischio che nel tempo hanno consentito di poter ipotizzare molteplici teorie in merito.
Nel caso, ad esempio, del corretto allineamento a livello dei piedi, possiamo riscontrare la presenza di due condizioni posturali nelle quali gli stessi possono presentarsi pronati o piatti; sebbene i due aspetti siano contrapposti si evidenzia che in entrambi i casi l’arco mediale del piede manca di un completo e corretto arco mediale di appoggio.
Se osserviamo un piede pronato, possiamo essere certi di riscontrare, per degli scompensi posturali che si attivano di conseguenza, una intrarotazione a carico della tibia o del femore in grado di alterare il corretto allineamento della rotula che col passare del tempo si può riallineare attraverso l’utilizzo di un’ortesi che possa agire direttamente sull’arco plantare fino ad arrivare a supinare direttamente il piede ricostituendo la corretta e originaria posizione. Se invece ci troviamo ad esaminare un piede cavo, riscontreremo un arco plantare maggiormente accentuato generante una rigidità che compromette una
corretta redistribuzione e conseguentemente un errato ammortizzamento dei carichi nella fase in cui il piede stesso va ad appoggiare al suolo con la risultante di apportare un’eccessiva sollecitazione alle strutture capsulo legamentose dell’articolazione interessata.
Se parliamo di situazioni generiche invece possiamo riscontrare che questa patologia si insinua laddove il soggetto presenti una diffusa debolezza muscolare nella zona del quadricipite e dei muscoli circostanti, limitandone potenzialmente i movimenti di flessione.
Obiettivo primario di tutto il trattamento di recupero funzionale si posiziona su tutto quanto possa contribuire al riequilibrio dei vari settori muscolari che coinvolgono il bacino e le catene estensorie.
Partendo da un lavoro propriocettivo con la pedana stabilometrica che interessa anca, ginocchio e caviglia è utile poi utilizzare, dietro precisa indicazione di un professionista, una serie di cicli programmati su pedana vibrante in grado di potenziare e stimolare a livello nervoso la risposta muscolare.
La fase iniziale prevede anche un opportuno riposo dalle attività sportive onde evitare eccessivi sovraccarichi articolari, dando invece spazio ad attività aerobiche come la camminata su tapis roulant e l’ellittica. Si rende opportuno inserire anche una moderata ma funzionale attività di stretching cercando di controllare molto bene le situazioni dolorose durante la mobilizzazione.
In alcune situazioni si deve agire anche a livello della pianta del piede utilizzando dei plantari che vanno a sfruttare i compensi generati per riportare in allineamento gli arti inferiori. Per ottenere un risultato funzionale e duraturo è consigliabile mantenere una linea di allenamento costante che possa essere svolta anche al proprio domicilio che consenta di conseguire buone abitudini posturali che dovranno essere mantenute nel tempo.
MASSIMO MARCIANO
Personal & Fitness Trainer
Maestro Pilates e Fitness (Csen-Coni)
Operatore Massaggio Tecnico Sportivo
Insegnante Educazione motoria e posturale
Coordinatore corsi CSEN Reg. Lombardia